AVVENIRE: Cinema. «Rosso Istria», il film che rompe il silenzio sulle Foibe

10/11/2018
Arriverà il 15 nelle sale la pellicola Red Land del regista italo-argentino Maximiliano Hernando Bruno: «Il dovere di raccontare»

Istria, Italia, settembre 1943. Badoglio, capo del governo italiano, ha firmato l’Armistizio con gli anglo-americani ed è fuggito insieme al re. L’esercito non riceve più ordini. Non sa più a chi dovrà obbedire e contro chi dovrà combattere ora che l’ex alleato tedesco è improvvisamente il nemico. Il caos regna sovrano in tutta Italia, ma sul confine adriatico diventa dramma a tinte fosche: i “liberatori” che fanno irruzione in Istria e Dalmazia non sono inglesi o americani, qui arrivano i partigiani di Tito, assetati di sangue e determinati a massacrare la popolazione inerme e confusa.

Riassunta oggi nel termine generico di “Foibe”, ha inizio la pulizia etnica contro gli italiani, culminata con decine di migliaia di “desaparecidos” e l’esodo biblico di 350mila disperati… Figura simbolo di tutto ciò è Norma Cossetto, 23 anni, di Visinada (Pola), studentessa all’università di Padova: catturata per essere “interrogata”, viene stuprata per una notte intera da diciassette partigiani, seviziata, mutilata, infine gettata nella foiba di Surani… Accadeva 75 anni fa, quanti ce ne sono voluti per avere il diritto di portare alla luce nel cinema un capitolo di storia troppo scomodo: a rompere oggi il silenzio è Red Land (Rosso Istria in italiano), il primo film che osi raccontare ciò che accadde in Istria, addentrandosi nella complessità di una storia quasi sconosciuta e mantenendo un perfetto equilibrio di imparzialità.

Prodotto da VeniceFilm «in sette anni di battaglie, prima per rompere i muri e poi per trovare i fondi, dato che dallo Stato non abbiamo avuto un euro», sottolinea con orgoglio il produttore Alessandro Centenaro, arriverà nelle sale cinematografiche giovedì 15 novembre, con interpreti del calibro di Franco Nero e Geraldine Chaplin, una regia raffinata che nulla ha a che fare con le fiction all’italiana in salsa romanesca, fotografia e musica di grande impatto, montaggio affidato a Marco Spoletini (per intenderci, il candidato all’Oscar con Dogman). L’effetto che Red Landavrà lo si è visto all’anteprima mondiale di qualche sera fa a Roma, dove un pubblico da tutto esaurito (presenti anche parlamentari di ogni schieramento, ed è un bel segno) non ha fiatato per 150 minuti, catapultato dentro l’azione, travolto da scene che non sono invenzioni ma avvenimenti reali, fin dalla prima immagine. Il film si apre e si chiude infatti con le mani di Norma legate ai polsi dal filo di ferro, protese verso il lontano lembo di cielo che dal fondo della Foiba riesce ancora a vedere.

Ma il regista italoargentino Maximiliano Hernando Bruno – tra l’altro alla sua opera prima – non cerca sensazionalismi, anzi li rifugge, e alla storia della Cossetto, già atroce nei fatti senza bisogno di calcare la mano, non dà più rilevanza rispetto agli altri personaggi, ognuno rappresentativo di un aspetto di quei giorni convulsi. Bruno non tralascia niente, via via “fotografa” ogni cosa: la secolare convivenza pacifica tra italiani e croati fino a prima della guerra, l’insofferenza della popolazione slava per l’italianizzazione forzata da parte del fascismo (vietata anche la Messa in croato), lo spaesamento dei giovani militari dopo l’8 settembre (rimanere fedeli all’Italia, sì, ma chi è l’Italia adesso? obbedire al re? al duce?) per cui alcuni disertano e non per questo sono vigliacchi, altri restano fedeli al duce e non per questo sono belve, altri ancora nella speranza di abbattere il fascismo si uniscono ai partigiani di Tito e non per questo sono brave persone. Insomma, spezza i cliché Red Land, senza incorrere nelle caricature macchiettistiche di troppi film cosiddetti storici.

Così Norma, ragazza come tante, ottimista e piena di vita, può essere – come davvero era – figlia del segretario politico del Fascio locale, ma non per questo meritarsi quello che oggi chiameremmo femminicidio. «Prima di girare il film sono andata a Visinada, volevo vedere i suoi luoghi», spiega Selene Gandini, commovente ed energica Norma cinematografica. «Ho sentito la responsabilità di dover rappresentare non un personaggio, ma una persona. Ho voluto raccontare soprattutto la sua caparbietà nel continuare a credere che ci sarebbe stato un futuro migliore». A consegnarla ai suoi aguzzini è il partigiano istriano Giorgio, intensamente interpretato dallo stesso regista, passato dalla parte dei titini e convinto in buona fede che sia la scelta giusta. Finiranno uccisi anche molti come lui, antifascisti, è vero, ma purtroppo italiani e per questo condannati. In genere la prospettiva còlta nei film è quella dei vincitori, qui è quella sfaccettata della popolazione istriana – italiana o slava che sia – travolta da «una guerra in cui l’Italia non avrebbe dovuto entrare… non saremmo in questa situazione», come dice il generale Esposito (Alvaro Gradella), isolata dall’Italia, stretta tra i due fuochi dei nazisti e dei comunisti jugoslavi, costretta persino a sperare nel ritorno dei tedeschi affinché la follia delle Foibe abbia fine. Perché avvenne proprio questo, come ricorda il capo dei titini Mate, interpretato dall’applauditissimo attore sloveno Romeo Grebensek: «Torneremo – minaccia all’arrivo dei tedeschi – ma intanto lasciamo un ricordo…». Gli esuli istriani, per chi in questi decenni ha voluto ascoltarli, lo hanno raccontato mille volte: i camion della morte vennero in fretta caricati di padri di famiglia, donne, vecchi, sacerdoti, medici, studenti, maestri, negozianti, carabinieri…

Se la voce degli esuli ha parlato invano, quella di Red Land urla: c’è anche Norma su quel camion, è già stata stuprata dal branco, a due a due vengono legati con il filo di ferro, condotti a piedi sul bordo della Foiba, si spara solo al primo, il secondo cadrà trascinato giù vivo. La regia non indulge neanche qui al sensazionalismo, non ce n’è bisogno. Nel film non si vede, ma il corpo di Norma, riesumato nel dicembre del ’43 dai Vigili del Fuoco di Pola, verrà trovato sopra agli altri, ultimo a precipitare, proprio come nel film. Giuseppe Comand, 98 anni, è l’unico di quei pompieri ancora vivo e ad Avveniredi recente ha raccontato che «Norma era quasi seduta, la schiena appoggiata alla parete di roccia, gli occhi aperti verso l’imbocco della Foiba»…

«Se Satana crede di poter peggiorare l’uomo è davvero ingenuo», è una delle battute del professor Ambrosin, un grande Franco Nero che ai giornalisti spiega: «Il professore è l’intellettuale della storia, non combatte con le armi ma con la parola, e infatti è la persona più pericolosa per i titini». «Sono stanco che mi si chieda per quale motivo ho girato questo film», si stupisce Maximiliano Hernando Bruno, «sembra che per raccontare questa storia serva un motivo. La vera domanda dovrebbe essere perché finora nessuno lo aveva fatto. Il cinema è un mezzo potentissimo, deve dar voce a queste grida di morte e gridare insieme a loro. Fare questo film non è stata una scelta, ma un dovere». Unanime e bipartisan il plauso dei politici. «È un film duro ma molto bello, capace di raccontare la storia con obiettività notevole – nota il vicepresidente della Camera, Ettore Rosato (Pd) –. La ricostruzione è ottima e la recitazione finalmente a livelli altissimi, spero che Red Land abbia il successo che merita». «È un’opera di verità di alto valore storico e morale », conferma Maurizio Gasparri (senatore Fi), «ora va sostenuta dal pubblico e utilizzata come strumento nelle scuole, in edizione ridotta ». Essendo prodotta in collaborazione con Rai Cinema, possiamo persino sperare che arrivi in tivù e non alle due del mattino…

Per Paola Binetti, senatrice Udc e neuropsichiatra, «è un film che unisce una grande delicatezza, ad esempio nel raccontare lo stupro, e una grande potenza di linguaggio. Magistrale per come rende lo smarrimento di tutti, anche dei generali, in contrasto con la crudeltà del titino, descritta come fosse una tipologia psichiatrica, una violenza patologica. La colonna sonora è originalissima, spesso fatta più di rumori che di suoni». Il senatore Pd Roberto Cociancich è figlio di esuli istriani: «Da Red Land emerge bene che l’antifascismo è stato utilizzato per operazioni che in realtà erano anti italiane. È grave la responsabilità della sinistra italiana che in passato ha agevolato una lettura negazionista, riduzionista, giustificazionista. Il film è intenso dall’inizio alla fine, e fa meditare: l’Istria era una piccola Unione europea di secolare convivenza tra popoli molto diversi, ma era anche un ecosistema fragile, visto cos’è successo… Se oggi lasceremo riemergere i nazionalismi, tratto saliente di quei tempi, e rinunceremo al grande progetto di un’Europa dei popoli, ne faremo una grande arida Terra Rossa e coloro che gettavano nelle Foibe i nostri cari avranno davvero vinto».

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